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Scrivere, anzi, scrivere bene, è un’abilità davvero importante. Non va sottovalutata e non va considerata come un qualcosa di semplice che tanto tutti prima o poi impareranno.

Di disgrafia, in Italia, si parla davvero poco, nonostante molte ricerche condotte da grafologi e studiosi ne riscontrino un notevole aumento: secondo alcune statistiche, un’alta percentuale di bambini tra la seconda e la quinta elementare risulta disgrafica (circa il 20%).

Molti disgrafici sono passati da neurologi, logopedisti, psicologi, se non addirittura considerati svogliati, incapaci, diversi: aggettivi ben poco utili e particolarmente dannosi ai fini della crescita personale.

La disgrafia è un disturbo grafomotorio, causato dall’incapacità di riprodurre correttamente segni alfabetici, in corsivo soprattutto, o numerici.

Sono molti gli studenti interessati e tante sono le implicazioni.

Va considerato che la scrittura non è, in Italia, materia di insegnamento. Spesso e volentieri si lascia libertà di esecuzione all’alunno, mostrando semplicemente com’è il grafema, ma non come deve essere eseguito.

Può sembrare una banale annotazione, ma non lo è affatto. Non va dato per scontato che un bambino sappia, ad esempio, che gli ovali vanno eseguiti in senso antiorario, tanto più che scrivere non è una capacità innata, bensì acquisita.

Va tenuto presente che se un ragazzo scrive male, avrà non solo problemi di tipo didattico, ma anche di tipo psicologico: ci sarà un abbassamento dell’autostima e comportamenti intesi ad evitare di scrivere a mano non appena possibile.

I disturbi della scrittura, definiti “disgrafie”, hanno conseguenze negative sulla scolarizzazione, sulla socializzazione, sull’inserimento del ragazzo nella scuola e nella società; anche l’adulto può incontrare difficoltà a scrivere: il “crampo dello scrivano” può causare sofferenza, dolore e impedire in certi casi anche l’atto grafico. (Cristofanelli - Lena)


Scrivere bene e senza fatica è davvero importante sotto molti punti di vista, che certo non vanno sottovalutati.

Ma come si riconosce un bambino disgrafico?

Diciamo che può essere riconosciuto da diversi elementi.

Un bambino disgrafico solitamente non ha una posizione corretta e lo strumento scrittorio non è impugnato nel modo adatto. Sembrano ovvietà, ma non lo sono affatto, soprattutto se si considera che raramente postura e prensione vengono insegnate.


Il bimbo non sa come utilizzare lo spazio: non rispetta ad esempio i margini, lascia spazi particolarmente irregolari sia tra grafemi che tra parole, non tiene il rigo.

La pressione è spesso irregolare, molto calcata o molto leggera. Alcuni bambini poi presentano sinestesie, ossia atti motori eccessivi o comunque non legati all’attività strettamente scrittoria.


Vi sono parecchie difficoltà nella riproduzione di figure geometriche ed il livello del disegno non è adeguato all’età.

Le lettere vengono riprodotte o troppo piccole, o troppo grandi e si differenziano anche nella stessa parola.

Il gesto risulta ovviamente poco fluido, in quanto la mano non scorre adeguatamente sul foglio.

Il ritmo è compromesso. Vi può essere eccessiva velocità od estrema lentezza, ma comunque sempre movimenti a scatti e poco armonici.


Risulta difficile copiare frasi e parole; si trovano ricorrenti inversioni del gesto ed errori dovuti a scarsa coordinazione oculo-manuale. La copia dalla lavagna è particolarmente ardimentosa, dovendo il bambino alzare lo sguardo, osservare, memorizzare, abbassare la testa e scrivere: davvero difficile, in quanto si tratta di portare avanti più compiti contemporaneamente.

Spesso questo disagio non viene preso in esame, poiché si tende, per lo più, a sostituire la scrittura a mano con l’utilizzo di un computer, o indirizzare il bambino verso lo stampato, cosa che non risolve, ovviamente il problema. Nel primo caso avremo ragazzi frustrati, che si sentiranno diversi tra ragazzi tutti portati ad una normale grafia manuale. Nel secondo caso arriveremo comunque ad avere uno stampato che nel tempo diverrà illeggibile.

I maggiori studiosi di disgrafia sono De Ajuriaguerra, neuropsichiatra infantile al quale si deve la realizzazione della scala per stabilire l’età grafomotoria nei bambini, nonché la scala D per la disgrafia, e Robert Olivaux, psicologo e grafologo, il quale ha elaborato un metodo per il recupero di questo disturbo.

I due studiosi considerano la disgrafia sotto punti di vista lievemente differenti, seppure complementari.


Distinzione secondo Olivaux


Disgrafie strumentali: impediscono, sostanzialmente, di esprimere adeguatamente il pensiero per mezzo della scrittura, ed hanno come elementi la fatica di scrivere e la lentezza nello scritto.

Il primo elemento lo si comprende da una stentatezza grafica, o da uno scarso controllo del gesto. Il secondo è oggettivo e misurabile, sempre tenendo conto però da cosa può essere causato: a volte, verso la fine dell’anno o sotto pressione, il bambino è stanco e manifesta il disagio attraverso la sua grafia.


Disgrafie relazionali: ciò che qui appare disturbata è la comunicazione del pensiero. In questo caso si valuterà attraverso la leggibilità o meno dello scritto.


Disgrafie sintomatiche: tutte quelle scritture che non esprimono la personalità dello scrivente. In questo caso potremmo trovare grafie eccessivamente curate, artificiose, basate su modelli. Diciamo che in questo caso si parlerà di disgrafie nel momento in cui verranno valutati disturbi anche sul piano strumentale, piuttosto che sul non soddisfacimento del soggetto scrivente per il proprio prodotto grafico.

Distinzione secondo De Ajuriaguerra


Disgrafia dei Rigidi: scrittura contratta, ristrettezze in zona mediana, tracciato angoloso e ritocchi, dove lo scrivente cerca di rifare le forme per lui riuscite male;


Disgrafia dei Molli: scrittura piccola con uno scarso sviluppo nella zona superiore ed inferiore; lettere atrofizzate e poco precise; irregolarità in inclinazione e dimensione.


Disgrafia degli Impulsivi: movimento precipitoso con scatti in avanti, finali ed accenti lanciati e spazio grafico mal gestito.


Disgrafia dei Maldestri: scrittura goffa, atrofizzata o gonfia. Irregolarità nella dimensione con margini e spazi insufficienti.

Va comunque sottolineato che per lo più i disgrafici hanno una calligrafia illeggibile e mostrano composizioni di lettere irregolari ed inconsistenti. Coloro che riescono a scrivere in modo leggibile sono eccessivamente lenti. Quando questi individui optano per la scrittura in stampatello, come molto spesso accade, i loro scritti diventano il più delle volte un coacervo di lettere grandi e piccole.

Poiché questo disturbo richiede un eccessivo uso di energia, resistenza e tempo, vi può essere una interferenza nell’abilità del soggetto ad esprimere un’idea. Gli scritti personali richiedono infatti che lo studente sincronizzi molte funzioni mentali allo stesso tempo: capacità di organizzazione, memoria, attenzione, abilità motorie e molti aspetti dell’abilità linguistica. Una grafia automatica ed accurata diviene il fondamento per questo atto di destrezza dello scrivere a mano. Nella complessità di ricordare come tenere lo strumento e come formare ogni lettera, spesso e volentieri lo studente si scorda del suo pensiero, oltre ad avere un’idiosincrasia per l’atto scrittorio. Ecco perché il disturbo può portare ad uno scarso rendimento, all’incapacità di completare i compiti a casa ed a focalizzare l’attenzione, oltre a creare spesso contrasti per evitare in ogni modo di scrivere.

Nella vita del bambino la conquista della scrittura

ha lo stesso valore della sua scoperta

per la storia dell’umanità.


Robert Olivaux

Un articolo del 5 novembre 2007 su Repubblica affermava che scrivere a mano rende i bambini intelligenti. Il diario delle nostre emozioni è scritto a mano, non sulla tastiera.

Coltivare la scrittura a mano significa dunque dare spazio ad una delle più importanti forme di espressione.

Tuttavia imparare a scrivere viene per lo più dato per scontato, come se fosse una condizione naturale dell’essere umano, quando, in realtà bisogna studiare, imparando una tecnica ed allenando il gesto.

Nulla di più difficile, specialmente per un bambino!

E allora perché la disgrafia non è assolutamente conosciuta, non viene considerata spesso come un disturbo, ma accettata o tollerata, dando luogo, spesso e volentieri, a problemi legati non solo ed esclusivamente alla scrittura?

Un bambino con una scrittura illeggibile ha spesso una combinazione di difficoltà nella motricità fine, nella capacità di visualizzare e formare le lettere, difficoltà di coordinazione oculo-manuale e dinamica in generale, una dominanza laterale non completamente acquisita, incapacità a tenere lo strumento scrittorio, tutte cose che possono sì essere recuperate attraverso la rieducazione, ma anche prevenute attraverso un buon insegnamento, a partire soprattutto dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia e dal primo anno della scuola primaria.

Scrittura prima della rieducazione

Scrittura dopo la rieducazione

Riconoscere la disgrafia in tempo può dare ottimi risultati in una eventuale rieducazione, con ripercussioni positive sia sul rendimento scolastico che sulla stima di sé.

Disgrafia dei Lenti e Precisi: scrittura statica, quasi sempre verticale, con lettere tracciate in modo piuttosto chiaro ed una buona impaginazione di insieme.

Ovviamente la disgrafia dovrebbe essere diagnosticata solamente guardando più quaderni ed elaborati grafici, possibilmente da un rieducatore qualificato. Quest’ultimo, avendo avuto un percorso preparatorio, testerà il soggetto sotto differenti punti di vista, elaborando una strategia per portare il soggetto disgrafico (anche un adulto può essere rieducato) ad avere una grafia più leggibile e fluida.